6. Diritto penale

Gli impianti pubblicitari sono soggetti all’imposta comunale sulla pubblicità, che assorbe la tassa di occupazione del suolo pubblico, che non è dovuta nemmeno in caso di mancato versamento regolare dell’imposta sulla pubblicità (Cass. 22 gennaio 2007 n. 1306, Pres. Paolini, Est. Cicala, P.M. Caliendo, RB Pubblicità c. Comune di Roma, Aida 2009, Repertorio VI.6).

Per la configurabilità del reato di cui all’art. 403 c.p. non occorre che le espressioni di vilipendio siano rivolte a fedeli ben determinati, ben potendo invece essere riferite alla generalità dei fedeli (Cass. sez. III penale 11 dicembre 2008 n. 10535, Pres. Vitalone, Est. Franco, P.M. Passacantando, A.D.U.C (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori, Aida 2009, Repertorio VI.6).

Spetta al giudice di rinvio verificare se la sanzione penale irrogata a chiunque effettui scommesse dal proprio domicilio via Internet con operatori di altri stati membri sia sproporzionata e com’unitariamente illegittima, soprattutto qualora la partecipazione alle scommesse venga incoraggiata quando si svolge nel contesto organizzato da operatori nazionali autorizzati (Corte CE, 6 novembre 2003, in causa C-243/01, Aida 2004, 953/10).

Spetta al giudice di rinvio verificare se la sanzione penale irrogata a intermediari che agevolino la raccolta di scommesse da parte di operatori esteri sia sproporzionata all’obiettivo di lotta alla frode, specie quando l’intermediario sia sottoposto ad un sistema di controlli e svolgesse tale attività di intermediazione prima dell’introduzione del divieto penale (Corte CE, 6 novembre 2003, in causa C-243/01, Aida 2004, 953/11).

La nozione di prodotto editoriale della l. 62/2001 incide e amplia quella contenuta nell’art. 1 r.d.lgs. 561/1946 e vale a circoscrivere le ipotesi di sequestro penale dei prodotti editoriali (Trib. Milano, 15 aprile 2002, Aida 2004, 963/1).

I doveri e le responsabilità previsti dalla legge penale a carico del direttore responsabile di un quotidiano (nella specie: La repubblica) non si estendono anche al contenuto del notiziario telematico collegato a questo periodico (nella specie: La Repubblica.it) (App. Roma, 11 gennaio 2001, Aida 2001, 798/2).

Atteso che la diffamazione è un reato di evento, e considerato che sulla scorta del principio dell’ubiquità ex art. 6 c.p. il reato si considera commesso in territorio italiano quando su di esso si siano verificati in tutto o in parte l’azione, l’omissione o l’evento che ne siano la conseguenza, per accertare la giurisdizione del giudice italiano in caso di diffamazione a mezzo Internet occorre verificare se l’una o l’altro tra condotta ed evento si siano verificati nel territorio dello stato. (Cass. 17 novembre 2000, Aida 2001, 743/2)

La diffamazione realizzata a mezzo di Internet integra ex art. 595 c.p. una fattispecie aggravata di questo reato, dal momento che la particolare diffusività del mezzo utilizzato per propagare il messaggio denigratorio rende l’agente meritevole di un più severo trattamento penale. (Cass. 17 novembre 2000, Aida 2001, 743/1)

Gli artt. 13 della legge 47/1948 sulla diffamazione a mezzo stampa e 30 della legge 223/1990 sulla diffamazione a mezzo di trasmissioni radiofoniche o televisive non possono applicarsi estensivamente od analogicamente alla diffamazione commessa attraverso Internet, che è invece soggetta all’art. 595 c.p. (Trib. Oristano, 25 maggio 2000, Aida 2001, 768/1).

Il contenuto osceno di una pellicola cinematografica non è ostativo alla sua proiezione in pubblico, perché in tale ipotesi il nulla osta può essere rilasciato con divieto di ingresso nella sala ai minori di anni 18 (Cass. 2 giugno 1995 n. 908, Aida 1997, 440/2).

La tutela prestata dalla legge 121/1987 non è limitata alle videocassette riproducenti opere cinematografiche che siano state destinate in origine al circuito cinematografico o televisivo (Cass. 2 giugno 1995 n. 908, Aida 1997, 440/1).

Al di fuori dell’ipotesi di concorso nel reato con l’autore della pubblicazione vietata, il direttore responsabile di un periodico risponde comunque ex art. 57 c.p. a titolo di colpa ove abbia omesso di esercitare il necessario controllo su detta pubblicazione: onde appare legittimato passivo rispetto alle domande proposte in sede civile da chi assume di esser stato leso nei propri diritti da quel comportamento costituente reato (nella specie: per violazione del diritto d’autore ex art. 171 l.a.) (App. Milano, 21 febbraio 1992, Aida 1993, 142/1).

Nell’accertamento dell’offesa che il comune sentimento del pudore può risentire per effetto di comportamenti determinati, e ad esempio dal commercio di videocassette di contenuto pornografico presso un negozio recante all’ingresso un cartello con la dicitura «vietato l’accesso ai minori di anni 18 », sono da considerare tra gli indici di valutazione, idonei a condizionare in un determinato momento storico il prodursi dell’offesa, anche il contesto ambientale nel quale i comportamenti sono attuati e il grado e le modalità della pubblicità ad essi conferita (nella specie è stato rigettato il ricorso del P. M. contro la decisione di assoluzione dal reato ex art. 528 c.p.) (Cass. 13 gennaio 1992 n. 18, Aida 1992, 20/4).

E’ arduo compito del giudice, affidato alla sua capacità di cogliere e interpretare i mutamenti sociali, definire l’elemento della fattispecie legale costituito dal pudore quale possibile oggetto di offesa secondo il comune sentire. Tale definizione, implicando un’indagine storica e un accertamento della realtà sociale, è compito del giudice di merito. Reciprocamente non appartiene alla Corte di cassazione valutare il comune sentimento di offesa del pudore secondo gli artt. 528 e 529 c.p. nè quindi sindacare la valutazione che ne danno i giudici di merito, se non nei limiti in cui in sede di giudizio di legittimità è consentito il controllo della motivazione delle sentenze (Cass. 13 gennaio 1992 n. 18, Aida 1992, 20/3).

Nelle norme dell’art. 528 c.p. relative alle pubblicazioni ed agli spettacoli osceni l’osceno attinge il limite dell’antigiuridicità penale solo quando sia destinato a raggiungere la percezione della collettività, il cui sentimento del pudore può solo in tale modo essere posto in pericolo o subire offesa: mentre ciò che si compie ed è destinato ad esaurirsi nella sfera privata, senza essere diretto (magari per colpa ex art. 527 c.p.) alla comunicazione verso un numero indeterminato di persone, non è giuridicamente qualificabile come osceno (Cass. 13 gennaio 1992 n. 18, Aida 1992, 20/2).

Nell’art. 528 c.p. relativo alle pubblicazioni ed agli spettacoli osceni l’interesse protetto è quello del buon costume e del comune sentimento del pudore: ove il buoncostume è un bene collettivo, costituente il patrimonio morale comune e correlativamente il pudore ‑ proprio perché normativamente riferito al sentimento comune e da questo definito ‑ è assunto dalla legge nella sua accezione di valore etico proprio della collettività e non invece come bene individuale (quale pure è) (Cass. 13 gennaio 1992 n. 18, Aida 1992, 20/1).

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge 17 luglio 1975 n. 355 sollevata con riferimento all’art. 21 ult. co. cost.: in quanto tale norma non contiene alcun riconoscimento della liceità del commercio di pubblicazioni oscene, ma prevede soltanto una causa eccezionale di non punibilità per gli edicolanti e per i librai (Corte cost. ordinanza 10 luglio 1991 n. 330, Aida 1992,  10/1).