2. Costituzione e pubblicità

Non viola l’art. 10 CEDU sulla libertà di espressione una disposizione nazionale che vieta la trasmissione radiotelevisiva di pubblicità a fini religiosi (Corte CEDU, 10 luglio 2003,  Aida 2004, 949/1).

Viola l’art. 10 CEDU sulla libertà di espressione un ordine del giudice nazionale che sulla scorta della disciplina della concorrenza sleale vieta la comparazione di prezzo tra due giornali quando non sia accompagnata dall’indicazione delle differenze che intercorrono tra l’uno e l’altro sul piano dello stile giornalistico e della completezza dei fatti e delle notizie riportati in tema di politica nazionale e straniera, cultura, scienze, salute, diritto, questioni ambientali (Corte CEDU, 11 dicembre 2003, Aida 2004, 950/1).

Vi è violazione dell’art. 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nel caso di sanzione disciplinare inflitta ad un medico per violazione del divieto – contenuto nella legge nazionale applicabile – di effettuare pubblicità a favore della propria attività: quando il comportamento censurato consista nel rilasciare un’intervista contenente informazioni veritiere su una certa tecnica chirurgica, suscettibili di produrre un secondario effetto pubblicitario (Corte CEDU 17 ottobre 2002, Aida 2003,  875/1).

Chi intenda manifestare il proprio pensiero ed il proprio impegno su temi sociali di interesse generale attraverso messaggi che hanno esclusivo significato commerciale e pubblicitario deve necessariamente rispettare i limiti che l’ordinamento e la spontanea adesione allo IAP degli imprenditori, compresi gli editori, gli impongono: e dunque non viene leso nei suoi diritti costituzionali alla libertà di manifestazione del pensiero e di svolgimento dell’attività artistica per il fatto che a seguito di numerosi inviti dello IAP alla cessazione delle sue campagne pubblicitarie e dell’ottemperanza degli editori gli sia divenuto praticamente impossibile operare nel campo dell’advertising (Trib. Milano, 14 giugno 2001, 847/2).

Il divieto di pubblicità dei prodotti da fumo mira alla tutela della salute della collettività, e dunque conformemente all’art. 41 cost. limita l’iniziativa economica privata per ragioni di utilità sociale. (Cass. 23 marzo 2001 n. 4183, 819/4).

Il dlgs 507/1993 non assoggetta all’imposta sulla pubblicità i messaggi di contenuto politico, ideologico o religioso effettuati senza fine di lucro, e non è dunque in contrasto con gli artt. 21 e 53 co.1 cost. (Corte cost. 19 luglio 2000 n. 301, Aida 2001, 740/1).

La pubblicità commerciale si pone al di fuori dell’area di protezione della libertà di  manifestazione del pensiero ex art. 21 cost. (Cass. 23 novembre 1999 n. 12993, Aida 2000, 656/3).

La norma dell’art. 2 legge 515/1993, integrata con le disposizioni dell’art. 15 del regolamento 26 gennaio 1994 del garante per la radiodiffusione e l’editoria, che nei trenta giorni precedenti la consultazione elettorale vieta la propaganda elettorale a mezzo di inserzioni pubblicitarie su quotidiani o periodici, spot pubblicitari e ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria televisiva, è ispirata dal dichiarato intento di assicurare la parità di trattamento fra tutti i partecipanti alla competizione elettorale. Essa non contrasta con gli artt. 3 e 21 della Costituzione: giacché con riferimento all’art. 3 cost. la disparità di trattamento rispetto alla stampa è giustificata dalla diversa capacità espansiva della televisione rispetto ai giornali, e dalle più agevoli modalità di accesso del pubblico al mezzo televisivo; mentre con riferimento all’art. 21 cost. la norma contempera la libertà di manifestazione del pensiero dei partecipanti alla competizione elettorale con la libertà degli altri cittadini di determinare autonomamente il proprio convincimento (Cass. 20 gennaio 1998 n. 477, Aida 1999, 580/2).

La pubblicità elettorale o politica, pur essendo una forma di propaganda elettorale, si distingue da quest’ultima per essere fondata sull’impiego di tecniche proprie del mercato commerciale, che privilegiano l’immagine e la tecnica di rappresentazione rispetto al contenuto (Cass. 20 gennaio 1998 n. 477, Aida 1999, 580/1).

La disciplina dell’art. 8 co. 9‑bis legge n. 223/1990, che implicitamente esclude la possibile esistenza di emittenti aventi ad oggetto esclusivamente l’intermediazione commerciale, non confligge con gli artt. 3, 21 e 41 cost.: posto che il legislatore, in considerazione della limitatezza delle frequenze disponibili, ha inteso privilegiare fra i valori costituzionalmente protetti quelli che trovano il loro referente nell’art. 21 cost.; e posto altresì che la scelta operata appare ragionevole anche nell’ottica del solo art. 41 cost., con riferimento agli altri interessi imprenditoriali del settore del commercio che una disciplina più permissiva avrebbe potuto pregiudicare (Cass. 1 settembre 1997 n. 8313, Aida 1998, 509/3).

Le norme della convenzione europea sulla televisione transfrontaliera del 5 maggio 1989 (ratificata in Italia con legge 327/1991) e quelle della direttiva del consiglio 552/89/Cee relative ai limiti alle interruzioni pubblicitarie di trasmissioni televisive di eventi sportivi non prevedono una tutela diretta della posizione soggettiva del telespettatore, e la loro violazione non costituisce illecito nemmeno sotto il profilo della violazione dei diritto costituzionale all’informazione pluralistica, che potrebbe essere leso in conseguenza di una diminuzione di commesse pubblicitarie alle imprese concorrenti (Trib. Milano, ordinanza 26 ottobre 1996, Aida 1997, 475/1).

E’ inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione di numerose norme relative alla raccolta di pubblicità da parte della RAI, quando vi sia una discrasia fra il significato che assume la cancellazione di questa disposizione (da un lato) ed i fini concretamente perseguiti dai promotori (e che puntano ad introdurre un diritto assoluto di trasmissione pubblicitaria ad opera della concessionaria pubblica): perché questa discrasia denota l’assoluta ambiguità della richiesta referendaria, che non consentirebbe all’elettorato di approvare o respingere la proposta di abrogazione con la dovuta consapevolezza (Corte cost. 12 gennaio 1995 n. 1, Pres. CASAVOLA, Est. SPAGNOLI, Giuseppe Calderisi, Lorenzo Strik Lievers, Elio Vito, Aida 1995, Repertorio V.2).

La finalità di critica, che a norma dell’art. 70 l.a. rende lecita la riproduzione satirica o parodistica dell’opera altrui, è da correlarsi ai valori costituzionali che legittimano il diritto d’autore e fra questi all’art. 9 Cost.: e quindi non è invocabile ove si tratti di promuovere non già lo sviluppo della cultura, ma la vendita dei propri prodotti (Giuri 4 aprile 1995, pronuncia 83‑90/95, Aida 1995, 355/4).

La valutazione di un supplemento di quotidiano come manifestazione del pensiero ex art. 21 postula che in concreto sia possibile un giudizio di prevalenza dell’agire comunicativo (art. 21 cost.) su quello economico (art. 41 cost.): e qui è sicuramente più agevole (anche se non sempre scontato) accertare presuntivamente la natura esclusivamente promozionale dell’operazìone quando il supplemento consiste in un’opera già edita e dunque disponibile sul mercato, e qualificarla invece come espressione della libertà di manifestazione del pensiero quando l’opera distribuita come supplemento sia inedita e dunque inesistente sul mercato (Pret. Bologna, 17 novembre 1992, Aida 1994, 221/2).