l. Diritto comunitario e pubblicità

La semplice registrazione di un nome a dominio non rientra nella nozione di pubblicità accolta dall’art. 2 par.1 dir. 84/450 e successivamente dall’art. 2 lett. a) dir. 06/114; rientra invece in tale nozione l’utilizzazione di un nome a dominio per identificare un sito internet, e ciò nonostante la previsione dell’art. 2 lett. f) dir. 2000/31 (Corte giustizia UE 11 luglio 2013, in causa C-657/11, Aida 2014, 1581/1).

Rientra nella nozione di pubblicità accolta dall’art. 2 par. 1 dir. 84/450 e successivamente dall’art. 2 lett. a) dir. 06/114 l’utilizzazione di metatags (nella specie, corrispondenti ai segni distintivi di un concorrente) nei metadati di un sito internet ((Corte giustizia UE 11 luglio 2013, in causa C-657/11, Aida 2014, 1581/2).

La semplice registrazione di un nome a dominio non rientra nella nozione di pubblicità accolta dall’art. 2 par.1 dir. 84/450 e successivamente dall’art. 2 lett. a) dir. 06/114; rientra invece in tale nozione l’utilizzazione di un nome a dominio per identificare un sito internet, e ciò nonostante la previsione dell’art. 2 lett. f) dir. 2000/31 (Corte Giustizia UE 11 luglio 2013, in causa C-657/11, Aida 2013, 1521/1).

Rientra nella nozione di pubblicità accolta dall’art. 2 par. 1 dir. 84/450 e successivamente dall’art. 2 lett. a) dir. 06/114 l’utilizzazione di metatags (nella specie, corrispondenti ai segni distintivi di un concorrente) nei metadati di un sito internet (Corte Giustizia UE 11 luglio 2013, in causa C-657/11, Aida 2013, 1521/2).

Non contrasta con l’art. 49 CE il d. lgs. 507/1993, istitutivo dell’imposta comunale sulla pubblicità, dal momento che: le norme sulla riscossione dell’imposta non prevedono alcuna distinzione relativa al luogo di stabilimento del prestatore o del destinatario dei servizi di affissione, né relativa al luogo di origine dei prodotti o servizi oggetto dei messaggi pubblicitari diffusi; l’imposta si applica solo ad un certo tipo di attività pubblicitarie esterne; il suo importo può essere considerato modesto rispetto al valore delle prestazioni di servizi che vi sono assoggettate (Corte CE, 17 febbraio 2005, in causa C-134, Pres. Rosas, Viacom Outdoor s.r.l. c. Giotto Immobilier s. a r.l., Aida 2007, Repertorio V.1).

Realizza una pubblicità comparativa il fornitore di componenti elettronici compatibili con i prodotti di un concorrente che nel suo catalogo utilizzi un sistema di numeri di ordinazione identico nella parte essenziale a quello del concorrente, noto nel settore e da considerarsi segno distintivo del concorrente (Corte CE, 23 febbraio 2006, causa C-59/05, Siemens AG c. VIPA Gesellschaft für Visualisierung und Prozeßautomatisierung m.b.H., Aida 2007, Repertorio V.1).

E’ conforme a quanto dispone l’art. 3 bis, n. 1, lettera c) della direttiva 84/450/CEE una pubblicità comparativa che, rendendo nota al pubblico l’esistenza di un’equivalenza fra le caratteristiche tecniche dei prodotti interessati, realizzi un confronto fra caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative degli stessi (Corte CE, 23 febbraio 2006, causa C-59/05, Siemens AG c. VIPA Gesellschaft für Visualisierung und Prozeßautomatisierung m.b.H., Aida 2007, Repertorio V.1).

Il fornitore di componenti elettronici compatibili con i prodotti del concorrente che utilizzi nella sua pubblicità un segno distintivo del concorrente, noto nel settore, non trae indebito vantaggio dalla reputazione di tale segno, ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. g) della direttiva 84/450, se le modalità di utilizzo del segno permettano di stabilire una distinzione circa l’identità delle due imprese coinvolte, e non creino false impressioni circa l’origine dei prodotti pubblicizzati e i rapporti fra le imprese interessate; se l’utilizzo del segno rappresenti un vantaggio per i consumatori, in termini di rapidità di individuazione del componente elettronico voluto; e se conseguentemente la sua mancata utilizzazione possa comportare effetti restrittivi della concorrenza (Corte CE, 23 febbraio 2006, causa C-59/05, Siemens AG c. VIPA Gesellschaft für Visualisierung und Prozeßautomatisierung m.b.H., Aida 2007, Repertorio V.1).

L’art. 11 n. 3 della direttiva 89/552 si applica a tutti i film prodotti per la radiotelevisione, e perciò vale a limitare le inserzioni pubblicitarie anche dei film prodotti per la televisione che pure siano stati ideati prevedendo un maggior numero di pause per l’inserimento di messaggi pubblicitari (Corte CE, 23 ottobre 2003, in causa C-245/01, Aida 2004, 952/1).

I limiti alle interruzioni pubblicitarie previsti dall’art. 11 n. 3 della direttiva 89/552 relativamente ai film prodotti per la televisione possono rappresentare limiti alla libertà di espressione disciplinata dall’art. 10 n. 1 CEDU: ma questi limiti sono comunque giustificati dall’art. 10 n. 2 CEDU, in quanto sono funzionali a proteggere i consumatori telespettatori ed il loro interesse ad accedere a programmi di qualità (Corte CE, 23 ottobre 2003, in causa C-245/01, Aida 2004, 952/2).

Gli obiettivi di tutela della protezione dei consumatori contro gli eccessi della pubblicità commerciale e di mantenimento di una certa qualità dei programmi possono giustificare restrizioni imposte dagli stati membri alla libera prestazione dei servizi in materia di pubblicità televisiva (Corte CE, 23 ottobre 2003, in causa C-245/01, Aida 2004, 952/3).

Le trasmissioni di “serie” che secondo l’art. 11 n. 3 della direttiva 89/552 tollerano un maggior numero di inserzioni pubblicitarie sono quelle caratterizzate da un nesso tale per cui al telespettatore è richiesto un minore livello di concentrazione: e dunque ad esempio dallo sviluppo di una stessa linea narrativa o la ricomparsa ripetuta di uno o più personaggi (Corte CE, 23 ottobre 2003, in causa C-245/01, Aida 2004, 952/4).

Le norme nazionali in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco che perseguano obiettivi di politica della sanità pubblica non possono essere armonizzate ex art. 129.4 Ce ma possono esserlo in base ad altre norme del trattato. Gli artt. 100.A, 57.2 e 66 del trattato non costituiscono un fondamento giuridico appropriato per la direttiva 98/43/Ce sul ravvicinamento delle disposizioni nazionali in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, che è annullata in toto dalla Corte: perché a) il divieto di questa pubblicità sulla stampa può essere giustificato per promuovere la libera circolazione nella stampa, analogamente alla direttiva 89/552 che vieta la pubblicità televisiva del tabacco per promuovere la libera trasmissione dei programmi televisivi; b) il divieto di alcune sponsorizzazioni può essere necessario ad evitare distorsioni sensibili della concorrenza delle imprese in relazione ad eventi sportivi; c) ma la gran parte delle forme di pubblicità dei prodotti del tabacco non può essere giustificata dalla necessità di eliminare ostacoli alla libera circolazione degli strumenti pubblicitari od alla libera prestazione di servizi nel settore della pubblicità; d) la direttiva non garantisce inoltre la libera circolazione dei prodotti che siano conformi alle sue disposizioni; e) la direttiva non è necessaria ad evitare distorsioni sensibili della concorrenza tra le agenzie di pubblicità ed i fabbricanti di supporti pubblicitari o nel mercato dei prodotti del tabacco; f) onde gli artt. 100.A, 57.2 e 66 possono giustificare solo in parte il divieto generale introdotto dalla direttiva per pubblicità e sponsorizzazioni a favore di prodotti di tabacco; g) ma l’annullamento parziale di quest’ultima ne comporterebbe la modifica ad opera della Corte, che spetta invece al legislatore comunitario (Corte giustizia CE , 5 ottobre 2000, Aida 2001, 739/1).

Il messaggio (nella specie espresso dalla copertina di un periodico) che si limiti ad annunciare il contenuto del periodico per promuoverne la vendita non potrebbe essere considerato manifestazione di pensiero protetta dall’art. 21 cost. ma pubblicità riconducibile all’art. 41 cost.: e d’altro canto la pronuncia del Giurì non comporta il sequestro del periodico ma solo l’inibitoria dell’ulteriore diffusione del (periodico con il) messaggio litigioso, ed anche sotto questo profilo non si pone comunque in contrasto con l’art. 21 cost. (Giurì, 21 dicembre 1999, pronuncia n. 393, Aida 2000, 710/4).

Secondo i considerando 9, 10 e 27 della direttiva 552/89/Cee l’esistenza di un rapporto di committenza tra soggetto pubblicizzato e soggetto che provvede a trasmettere il messaggio pubblicitario è necessaria esclusivamente ai fini dell’applicazione della disciplina dell’affollamento pubblicitario, ma non rileva per il resto ai fini della qualificazione di un messaggio come pubblicitario (Cass. 23 novembre 1999 n. 12993, Aida 2000, 656/2).

Non contrasta con gli artt. 28 (già 30) e 49 (già 59) del trattato CE la norma nazionale che, in sede di recepimento dell’art. 11 co. 3 della direttiva 89/552, sottoponga la diffusione di pubblicità televisiva a limitazioni più rigorose di quelle previste dalla direttiva (Corte di giustizia CE 28 ottobre 1999, in causa C-6/98, Aida 2000, 648/4).

L’art. 3 co. 1 della direttiva 89/552 autorizza gli stati membri a fissare norme più rigorose rispetto alle misure minime stabilite dalla direttiva, purché tali norme siano compatibili con altre disposizioni pertinenti del diritto comunitario (Corte di giustizia CE 28 ottobre 1999, in causa C-6/98, Aida 2000, 648/3).

Allorché una disposizione  della direttiva 89/552 (nella specie: l’art. 11 co. 3) pone una limitazione alla diffusione e alla distribuzione di servizi televisivi, la finalità perseguita dalla direttiva di garantire la libera diffusione dei programmi televisivi impone una interpretazione restrittiva di tale limitazione (Corte di giustizia CE 28 ottobre 1999, in causa C-6/98, Aida 2000, 648/2).

La formulazione dell’art. 11 co. 3 della direttiva 89/552 non fornisce un’indicazione univoca sui criteri da applicarsi per il calcolo del periodo di trasmissione sul quale determinare il numero delle interruzioni pubblicitarie: la norma va pertanto interpretata alla luce della finalità perseguita dalla direttiva di garantire la libera diffusione dei programmi televisivi (Corte di giustizia CE 28 ottobre 1999, in causa C-6/98, Aida 2000, 648/1).

La politica culturale diretta a salvaguardare il pluralismo della stampa scritta in una delle lingue ufficiali di uno stato membro della Ce non integra necessariamente le esigenze imperative di interesse generale che possono giustificare l’attribuzione di un diritto esclusivo nonostante gli artt. 52 e 90.1 Ce (Tribunale CE 8 luglio 1999, in causa T-266/97, Aida 2000, 651/2).

L’attribuzione ad un’emittente privata di un diritto esclusivo di raccogliere e diffondere pubblicità televisiva in una delle lingue ufficiali di uno stato membro della Ce costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento dei cittadini di un altro stato membro nel territorio del primo e viola gli artt. 90.1 e 52 Ce quando non sia giustificata permanentemente da esigenze imperative connesse all’interesse generale, tra le quali rientrano a certe condizioni anche la politica culturale e la salvaguardia del pluralismo della stampa (Tribunale CE 8 luglio 1999, in causa T-266/97, Aida 2000, 651/1).

L’art. 7 della direttiva del consiglio 13 giugno 1990, 90/314/Cee, concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso” si applica ai viaggi i quali, nell’ambito di un’azione pubblicitaria illegittima sotto il profilo nazionale della concorrenza, vengono offerti in omaggio da un quotidiano ad esclusivo vantaggio dei suoi abbonati, e per i quali il contraente principale paga, se viaggia da solo, le tasse aeroportuali nonché il supplemento per la camera singola, oppure, se viaggia accompagnato almeno da una persona che paga integralmente il prezzo del viaggio, unicamente le tasse aeroportuali (Corte Giustizia Ce 15 giugno 1999, causa C-140/97, Pres. RODRIGUEZ, Rechberger e altri c. Repubblica d’Austria, Aida 2000, Repertorio V.1).

E’ illegittirno l’art. 9 co. 2 d.m. 581/1993, nella parte in cui stabilisce che il programma c.d. contenitore «non può comprendere più di un programma sponsorizzato per ogni ora di trasmissione », giacché sia la direttiva 89/552/CEE sia la legge 223/1990 non prevedono limiti, quantitativi per le forme di sponsorizzazione, limitandosi a stabilire limiti di carattere qualitativo (TAR Lazio, 19 dicembre 1997, Aida 1998, 553/3).

L’art. 17 della direttiva 89/552/CEE, puntualmente recepito dall’art. 8 co. 12,13 e 14 della legge 223/1990, stabilisce chiari limiti affinché il contributo alla produzione e rea!izzazione di programmi televisivi da parte dello sponsor non si tras~.ornú in veicolo pubblicitario a favore di quest’ultinio. Sono conformi a tale esigenza, e quindi legíttime, le prescrizioni dell’art. 4, commi 1, 2, 4 e 5, nonché dell’art. 7, commi 1 e 2, d.m. :581/1995 (TAR Lazio, 19 dicembre 1997, Aida 1998, 55312).

Il richiamo alle « forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico »contenuto nell’art. 8 co. 9 bis legge 223/1990, che sul punto riproduce testualmente il contenuto dell’art. 18 co. 1 della direttiva 89/552/CEE, deve intendersi dotato di valore meramente esemplificativo, in conformità all’interpretazione della norma comunitaria fornita dalla Corte di giustizia con sentenza 12 dicembre 1996. Pertanto, sono illegittimi l’art. 12 co. 1 lett. b) d.m. 581/1993, nella parte in cui equipara le telepromozioni agli ordinari messaggi pubblicitari, quanto ai tempi giornalieri di trasmissione; e il secondo comma dello stesso articolo, nella parte in cui non ammette le telepromozioni al beneficio del tempo aggiuntivo di trasmissione giornaliera pari al 5% (TAR Lazio, 19 dicembre 1997, Aida 1998, 553/1).

La disciplina dell’art. 8 co. 9‑bis legge n. 223/1990, che implicitamente esclude la possibile esistenza di emittenti aventi ad oggetto esclusivamente l’íntermediazione commerciale, non confligge con gli artt. 3, 21 e 41 cost.: posto che il legislatore, in considerazione della limitatezza delle frequenze disponibili, ha inteso privilegiare fra i valori costituzionalmente protetti quelli che trovano il loro referente nell’art. 21 cost.; e posto altresì che la scelta operata appare ragionevole anche nell’ottica del solo art. 41 cost., con riferimento agli altri interessi imprenditoriali del settore del commercio che una disciplina più permissiva avrebbe potuto pregiudicare (Cass. 1 settembre 1997 n. 8313, Aida 1998, 509/3).

Le definizioni di « trasmissione televisiva » e di « pubblicità » contenute nella direttiva 89/552/CEE impongono di concludere che anche le imprese televisive esercenti televendite sono soggette alla disciplina generale contenuta nella direttiva stessa circa i limiti quantitativi alla trasmissione di pubblicità (Cass. 1 settembre 1997 n. 8313, Aida 1998, 509/2).

Il giudice di ultima istanza è esonerato dall’obbligo del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 177 co. 3 del trattato CE, quando il testo della norma comunitaria imponga con assoluta chiarezza una sola opzione interpretativa (principio affermato con riferimento alle nozioni di « trasmissione televisiva » e di « pubblicità »contenute nella direttiva 89/552/CEE) (Cass. 1 settembre 1997 n. 8313, Aida 1998, 509/1).

Poiché la direttiva 89/552/CEE contiene un insieme completo di disposizioni specifiche dirette a tutelare i minori nei confronti dei programmi televisivi e della pubblicità televisiva in particolare, il rispetto delle quali deve essere garantito dallo stato di trasmissione, non sono applicabili alle trasmissioni televisive provenienti da altri stati membri le disposizioni di una legge nazionale che vietano la pubblicità televisiva diretta ad attirare l’attenzione dei bambini minori di dodici anni (Corte di giustizia CE, 9 luglio 1997, Aida 1997,  437/3).

Non costituiscono misure di effetto equivalente agli ostacoli all’importazione le disposizioni nazionali che vietano la pubblicità rivolta ai bambini minori di dodici anni e la pubblicità ingannevole, a meno che tali disposizioni non incidano in misura diversa sulla vendita dei prodotti nazionali e di quelli provenienti da altri stati membri, dovendosi in tal caso verificare se il divieto sia necessario per soddisfare esigenze imperative di interesse generale (quali la lealtà dei negozi commerciali e la difesa dei consumatori), se sia proporzionato allo scopo, e se non fosse possibile soddisfare tali esigenze mediante misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari (Corte di Giustizia Ce 9 luglio 1997, Aida 1997, 437/2).

La direttiva 89/552/CEE attua un coordinamento solo parziale delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alla pubblicità televisiva e alla sponsorizzazione, e pertanto non osta in linea di principio all’applicazione di una normativa nazionale che persegua un obiettivo di tutela dei consumatori contro la pubblicità ingannevole, e che non impedisca la ritrasmissione all’interno dello stato di una pubblicità televisiva proveniente da un altro stato membro, ma preveda un sistema di divieti e sanzioni nei confronti degli inserzionisti (Corte di giustizia CE, 9 luglio 1997, Aida 1997, 437/1).

La preservazione del pluralismo della stampa può costituire un’esigenza imperativa tale da giustificare una restrizione alla libera circolazione delle merci; occorre peraltro verificare se il divieto di veicolare giochi a premi attraverso pubblicazioni a stampa sia proporzionato rispetto a tale esigenza, e se lo stesso scopo non possa essere conseguito con misure meno restrittive sia per gli scambi intracomunitari sia per la libertà di espressione (Corte giustizia CE, 26 giugno 1997, Aida 1997, 436/2).

La normativa nazionale che vieta, in quanto atto di concorrenza sleale, di promuovere le vendite offrendo al pubblico la possibilità di partecipare a giochi a premi incide sul contenuto sostanziale dei prodotti, ove il divieto sia riferito a pubblicazioni nelle quali detti giochi siano inseriti come parte integrante. Essa pertanto costituisce una misura di effetto equivalente ai sensi dell’art. 30 del trattato (Corte giustizia CE 26 giugno 1997, Aida 1997, 436/1).

Il tenore dell’art. 17 co. 1 lett. b) della direttiva 89/552/CEE non consente affatto di ritenere che il legislatore comunitario abbia inteso limitare la menzione dello sponsor soltanto all’inizio e alla fine dei programmi; tuttavia ai sensi dell’art. 3 co. 1 della direttiva gli stati membri possono emanare norme più rigorose per le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione, purché tali norme non siano lesive delle libertà garantite dal trattato CE (Corte di giustizia CE 12 dicembre 1996, Aida 1997, 435/2).

L’espressione « forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico », contenuta nell’art. 18 co. 1 della direttiva 89/5 52/CEE ha carattere meramente esemplificativo. Pertanto la facoltà accordata dalla norma agli stati membri di elevare il tetto di affollamento pubblicitario al 20% delForario di trasmissione giornaliero può esplicarsi anche con riferimento a forme di pubblicità che, pur non costituendo « offerte fatte direttamente al pubblico », abbiano come queste ultime durata più lunga rispetto agli spot pubblicitari (Corte di giustizia CE 12 dicembre 1996, Aida 1997, 435/1).

Gli artt. 30, 85, 36, 5 e 3 del trattato UE e la direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa all’armonizzazione di alcune disposizioni legislative regolarmentari e amministrative negli stati membri riguardanti l’esercizio dell’attività di radiodiffusione televisiva, non si oppongono a che uno stato membro vieti in via legislativa o regolamentare che gli organismi di radiodiffusione televisiva stabiliti sul suo territorio diffondano messaggi pubblicitari a favore del settore economico della distribuzione (Corte di giustizia CE 9 febbraio 1995, in causa C412/93, Edouard Leclerc‑Siplec c. TH Publicité s.a., M6 Publicité s.a., Aida 1995, Repertorio V.1).

Non tutto ciò che è lecito in sede di manifestazione del pensiero lo è in pubblicità. Qui, proprio perché la funzione della comunicazione non è speculativo‑politica o ideologica ma commerciale, è giusto esigere che i messaggi non investano direttamente di cariche negative le convinzioni profonde dei cittadini: e tanto può imporre anche un’istituzione privata come quella dell’autodisciplina pubblicitaria avvalendosi di un meccanismo negoziale (Giurì,, 26 ottobre 1993, Aida 1994, pronuncia n. 161/93, 249/4).

Costituiscono restrizioni alla libera prestazione dei servizi vietate dall’articolo 59 del trattato CEE non giustificate da determinanti ragioni di interesse generale, le disposizioni nazionali in tema di emissioni televisive via cavo, che impongono, sia alle imprese nazionali che a quelle estere, determinate restrizioni all’emissione di messaggi pubblicitari, ed in particolare prevedono, da un lato che le emittenti: debbono affidare la produzione della pubblicità ad un soggetto indipendente dai fornitori dei programmi; debbono destinare integralmente i loro introiti pubblicitari alla produzione di programmi, e non debbono procurare benefici a dei terzi; e d’altro lato che la pubblicità trasmessa deve essere chiaramente identificata in quanto tale e deve esser separata dalle altri parti del programma; essa non può oltrepassare il 5% del tempo totale di trasmissione, e non deve essere diffusa alla domenica (Corte CE, 25 luglio 1991 in causa 288/89, Aida 1992, 3/1).